Tekken Bloodline, la recensione dell’anime Netflix

Dal 18 agosto è approdata su Netflix la serie anime Tekken Bloodline, sicuramente la più attesa tra le uscite del mese. Come è facile intuire si tratta dell’adattamento dell’omonimo picchiaduro di Bandai Namco, nello specifico viene preso in esame il terzo capitolo, sicuramente il più noto ed apprezzato dell’intera saga videoludica.
I sei episodi che compongono la prima stagione, non è dato sapere al momento se ci sarà un seguito, vedono come protagonista assoluto Jin Kazama ma faranno capolino – con ruoli più o meno rilevanti fino alla mera comparsa – anche buona parte dei personaggi apprezzati nel videogioco che – di sicuro – faranno felici gli appassionati del fortunato franchise.
Così, una volta terminata la visione siamo pronti per dire la nostra (a proposito qui trovate la nostra (non) recensione di Saints Row) su di un prodotto che pur con qualche spunto interessante, ed animazioni in grado di richiamare la spettacolarità dei combattimenti apprezzati con il pad alla mano, non riesce a sfruttare pienamente il potenziale della sua controparte videoludica.

Jin sin da bambino vive in un’area isolata del Giappone insieme a sua madre Jun, dove studia le arti marziali tramandate dalla famiglia Kazama e, pur con qualche screzio con i ragazzi del posto, la vita scorre tranquillamente. Almeno fino a quando Ogre, una creatura ultraterrena non attacca ed uccide la madre del protagonista. E’ a questo punto che il ragazzo, seguendo le ultime parole di Jun, decide di andare a trovare suo nonno Heihachi Mishima, presidente dell’omonima corporazione, per diventare più forte e trovare vendetta per la perdita subita. E’ da questo presupposto che la trama prende piede fino ad arrivare anni più tardi, al famoso Iron Fist Tournement. Insomma possiamo dire di trovarci di fronte ad un battle shonen classico che prende a riferimento la story mode di Jin all’interno di Tekken 3. Un adattamento che, tuttavia, tralascia colpevolmente i background degli altri personaggi i quali sono spesso semplici figure di intermezzo per portare su piccolo schermo una buona dose di mazzate spettacolari e permettere al nostro protagonista di giungere alla fine di un processo di maturazione e crescita. Ed è la brevità dell’adattamento il suo più grande neo, troppo pochi del resto sei episodi (per una durata complessiva di poco più di due ore) per portare a termine l’arco narrativo della storia, che purtroppo resta appena abbozzata senza riuscire a far esplodere il suo potenziale.

I due staff, Studio Hibari e Larx Entertainment, hanno lavorato piuttosto bene per quel che concerne il colpo d’occhio, le animazioni riportano immediatamente alla mente gli scontri del videogioco anche se – dobbiamo dirlo – la brevità dei combattimenti fa perdere agli stessi l’epicità della saga. Il comparto musicale che accompagna gli scontri (del compositore Rei Kondoh) riesce ad intrattenere piacevolmente, cosa che non possiamo dire per le sigle di apertura e chiusura che si dimostrano essere assolutamente anonime.
Tekken Bloodline è doppiato interamente in lingua italiana in modo efficiente ma non memorabile.
Tirando le somme possiamo definire questo adattamento come un lavoro che potrà essere apprezzato principalmente dai fan del franchise ma, data la sua estrema brevità, difficilmente potrà essere ricordato se non come un altro esempio di potenziale non sfruttato e non basta un gradevole colpo d’occhio e le ottime animazioni per far gridare ad un miracolo che, in questa serie Netflix, purtroppo non c’è.
Partita con buone premesse l’opera resta praticamente inespressa e potrebbe risultare funzionale soltanto se, in futuro, venisse utilizzata come base su cui costruire un’intelaiatura più complessa e duratura.

Voto 6

naifinside

Uno come tanti, appassionato come pochi.

Ti potrebbe interessare anche...